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Accoglienza

La diversità è ricchezza per tutti

Il migrante è una persona portatrice di valori che noi abbiamo messo da parte con il benessere

“Porti chiusi e cuori aperti”. Così il nostro ministro degli Esteri Matteo Salvini sintetizzava mesi fa il succo della politica italiana di accoglienza nei confronti di migranti e profughi che dal Terzo Mondo stanno da tempo bussando per una ospitalità nel Vecchio Continente.

Non sono un economista né un politico -  categorie che seguo con rispetto e interesse - e mi addentro in alcune considerazioni con l’ausilio del buon senso. A questo riguardo mi vengono sempre in mente le parole del Giusti che scriveva: “il buon senso che fu già caposcuola, or non lo è affatto; la scienza, sua figliola, l’ha ucciso per veder com’era fatto”.

Ritengo che i due termini sopra accennati - porte chiuse e solidarietà - difficilmente possano marciare uniti perché, a non troppo lungo andare, uno dei due verrà di fatto escluso. Sarebbe come dire a uno che si trova in seri guai: mi dispiace, ti capisco, ma non posso fare nulla; veditela tu. Quel tale potrebbe giustamente rispondere: grazie, ma che me ne faccio della tua compassione? 

Ritengo giusta la nota riflessione che cita gli statisti come coloro che guardano alle prossime generazioni e i politici che si interessano alle prossime elezioni. E questo è evidente anche nella continua, ossessionante ripetizione che si vogliono rispettare le promesse fatte agli elettori, rastrellando soldi ovunque. Anche Erode a malincuore fece tagliare la testa al Battista soltanto per non venir meno a un giuramento fatto.

In questa situazione non fa meraviglia che gli sbarchi siano notevolmente ridotti e, in parte, anche i naufragi in mare. Ma il problema resta. E non si può certamente contestare che queste persone, siano essi profughi o migranti (distinzione giusta, ma nella prassi senza senso) si siano messi in mare a cuor leggero quando essi manifestano una secolare ingiustizia nella partecipazione ai beni della terra e allo sfruttamento delle materie prime che producono. Un’assurdità economica e un’ingiustizia sociale sotto gli occhi di tutti, ma che non vogliamo vedere.

E qui si impone un discorso sull’integrazione, concetto basilare per un corretto dialogo e un fecondo inserimento nella società di accoglienza. Quando si dice di un immigrato che è molto bravo e gradito lo si qualifica dicendo: “è come uno di noi”. Ma proprio qui sta l’inganno di un’integrazione mal intesa: quel migrante non è più se stesso, ha soffocato i valori che lo avevano formato come persona. 

L’integrazione non è un processo univoco, bensì bilaterale. È un dare e un ricevere nell’armonia di un quadro comune di regole condivise (la Costituzione). Il modello Riace che aveva risollevato un paese dal suo abbandono è stato affossato contestando abusi e soprusi, per altro ancora da dimostrare. Così il paese è tornato nella palude politico-culturale di prima.

Il migrante è una persona portatrice anche di valori a noi non ben conosciuti o messi da parte dal benessere. Pensiamo alla famiglia, alla solidarietà interfamiliare, al lavoro e al benessere non come fine, ma come strumento, solo per citarne alcuni. Anni fa don Tonino Bello, l’indimenticato vescovo di Molfetta, parlava di “convivialità delle culture”. Perché la terra è di Dio e Dio l’ha data all’uomo che Lui ha creato come unità (la famiglia umana). Poi sono venute divisioni, possessi esclusivi e società impermeabili.

Guardando anche la storia, il Paese a lungo più ricco e più forte, nel bene e nel male, sono gli Stati Uniti di America formati dall’insieme di diverse culture e tradizioni. “Ex pluribus unum”, ossia l’unità dai tanti, è il suo motto. La diversità è ricchezza. E credo che la Chiesa con il suo principio di rapporto vitale tra i suoi membri e il suo Fondatore, la comunione, possa dare qualche indicazione anche ai politici per una giusta integrazione.

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