Cosa raccontare di sé ai figli?

«Sto cercando di raccontarti cose che non mi sarebbe mai venuto in mente di dirti se ti avessi cresciuto io, come padre e figlio, in un rapporto improntato all’abituale cameratismo. Quando le cose prendono il loro corso normale, diventa difficile ricordare quelle importanti. C’è talmente tanto che non si penserebbe mai di raccontare a qualcuno. E a mio avviso potrebbero essere le cose essenziali per te, e che anche tuo figlio dovrebbe sapere per conoscerti bene. Ricordo quel giorno della mia infanzia…» (tratto da Gilead di Marilynne Robinson, 2017).

Il coinvolgente libro della Robinson racconta di un padre gravemente malato che decide di scrivere una lettera-diario a suo figlio di 7 anni che non potrà crescere. Gli racconterà del nonno abolizionista e del padre pacifista, delle sue convinzioni e dei suoi dubbi, della sua infanzia, le sue paure, le sue vicende tristi, di quanto abbia amato questa vita che si appresta a lasciare.

Di solito il genitore (specie il padre) tende a dare al figlio una immagine granitica di sé. Spesso si teme di mostrare ai figli le proprie debolezze e fatti dolorosi della propria vita.
Al contrario i figli hanno bisogno di conoscere il genitore autenticamente e profondamente. Questo è importante per la costruzione della loro identità e per la creazione di un rapporto vero.

I genitori devono raccontarsi. Naturalmente con parole e discorsi idonei all’età del figlio. Man mano che i figli diventano grandi si può scegliere quale pezzo della propria storia narrare. È bene rivelare oltre alle gioie, ai successi, alla forza e al coraggio anche i propri dolori, la fatica, le paure, le debolezze, le vicende tristi che hanno riguardato la propria vita. I figli hanno bisogno di ascoltare le storie di vita dei genitori e quelle della famiglia d’origine per la costruzione della loro identità.