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Da figli delle stelle a figli delle app

Il desiderio di mettersi in vetrina, non di rado diventa un vero bisogno per i giovanissimi

Da figli delle stelle a figli delle app

Il correttore automatico del computer non la riconosce, ma la parola è entrata da tempo nel vocabolario e soprattutto nella vita quotidiana. Almeno dal 2007, quando il sociologo Vanni Codeluppi le dedicò un interessante saggio. Sto parlando di “vetrinizzazione”, un termine che la Treccani spiega così: esposizione, mostra pubblica, spettacolarizzazione di qualcosa.

Le vetrine nacquero nel Settecento, quando le botteghe iniziarono a mettere in mostra i loro prodotti, avviando un processo che gradualmente si è allargato fino a coinvolgere le intere città – non solo gli spazi commerciali – e, con l’esplodere dei reality show e poi della comunicazione digitale, gli stessi individui, diventati anch’essi vetrine, esposizioni permanenti.

Ce ne occupiamo qui perché di “vetrinizzazione dell’io” parla Francesco Pira nel suo recente “Figli delle app” (Franco Angeli), in cui tratta dei modelli comunicativi degli adolescenti di oggi. Mancava solo l’apprendimento scolastico, sottolinea l’autore, ed ora con l’e-learning diffuso dalla pandemia il processo di digitalizzazione delle nuove generazioni è completo.

Proprio durante il lockdown del 2020 si è svolta la ricerca che apre il volume: circa duemila interviste a ragazzi delle scuole medie e superiori. I risultati non sorprendono: il 99,6% di loro possiede uno smartphone, il 98,7% ha un profilo social. Quanto a Whatsapp, il 61,6% invia e riceve più di cento messaggi al giorno. Ciononostante, però, solitudine e incertezza sono molto diffuse. “Il 60,4% degli intervistati – scrive Pira a proposito della situazione attuale – ha ammesso di avere avuto paura e scoramento”.

Alla domanda se possedessero un profilo falso su un social network, quasi i due terzi non hanno risposto. Degli altri, il 69,6% ha barrato la casella del sì. Non è difficile immaginare il motivo. Ad esempio, può servire ad eludere i controlli dei genitori. Si ha un profilo “pulito” che mamma e papà possono monitorare e uno fake che, per i loro amici, è in realtà quello vero. Come meravigliarsi, quando la Rete pullula di falsi influencer, che con qualche centinaio di dollari possono acquistare follower e like.

Si torna così al desiderio di mettersi in vetrina, che non di rado diventa un vero bisogno per i giovanissimi: essere costantemente esposti allo sguardo altrui rivela la continua rincorsa al consenso e all’approvazione, restituendo la sensazione (l’illusione?) di quella fiducia e accettazione che probabilmente non si trova in altro modo.

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