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Ai funerali di Giovanni Bissoni il messaggio del cardinale Zuppi: "La sua richiesta era sentirsi protetto dalla sofferenza e garantito nella dignità"

Gozzoli: "È stato il più bravo di tutti"

Nella foto un momento dei funerali di Giovanni Bissoni, ieri a Cesenatico

Ieri si sono svolti, in forma civile, i funerali di Giovanni Bissoni, ex sindaco di Cesenatico ed ex assessore alla Sanità per la Regione Emilia Romagna per 15 anni. 

Già i numerosi messaggi giunti per la sua morte hanno fatto ben comprendere il calibro del personaggio Bissoni, un uomo, un politico e un amministratore ben voluto da tutti. (cfr pezzi a fianco)

Ieri, per il rito civile, il sindaco Matteo Gozzoli ha letto un intervento che pubblichiamo in maniera integrale.

Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha inviato un messaggio che è stato letto e che pubblichiamo anche questo integrale.

Di seguito i due testi. 

Ecco quello del sindaco, Matteo Gozzoli.

Buongiorno a tutte e a tutti, qualche giorno fa Giovanni mi ha chiesto di intervenire a questa cerimonia e penso che tutti possiate comprendere benissimo il senso di responsabilità che provo nel parlare di lui davanti a tutti voi. Responsabilità che è allo stesso tempo onore e onere. Onore, perché Giovanni - come politico e come uomo - in tutto ciò che ha fatto ha lasciato un segno indelebile. Onere perché raccontare chi era Giovanni anche a chi lo conosce da tanto più tempo di me, e ha avuto la fortuna di condividere con lui gli anni più belli di vita e di impegno politico e civile, è impresa difficile e complicata.

Nella sua vita Giovanni è stato sindaco di Cesenatico, assessore regionale alla sanità, fratello e amico per tanti di voi qui presenti oggi. Io vorrei prima di tutto parlarvi del sindaco Giovanni Bissoni. L'ultima volta che io e lui abbiamo partecipato insieme a un evento pubblico eravamo proprio qui al Museo della Marineria. Era il 13 maggio - qualche giorno prima della tragica alluvione che ha colpito la Romagna - e celebravamo insieme alla Soprintendenza le nostre vele al terzo riconosciute come patrimonio immateriale dal Ministero dei Beni Culturali. Si chiudeva idealmente un cerchio iniziato nel 1977 quando un giovanissimo Bissoni - sindaco di Cesenatico - si accingeva ad aprire i lavori del convegno intitolato " “La marineria romagnola, l’uomo, l’ambiente”, un momento di riflessione e approfondimento con diversi studiosi protagonisti che ha portato negli anni successivi al recupero del nostro borgo marinaro. Il 2 ottobre scorso - invece - siamo stati insieme a casa sua e lui ci ha tenuto a farmi vedere la sua tesi di laurea dell'anno accademico 1977-1978 “Cesenatico: il ruolo del Comune nello sviluppo turistico”. In questo titolo c'è molto della sua visione da sindaco: un occhio attento all'economia principale del nostro paese e un occhio rivolto al Comune, alla comunità, a quella rete di relazioni e di impegno politico che è partito dal Pci e si è evoluto mantenendo sempre saldo il punto di arrivo: la salvaguardia del territorio e la difesa di valori su cui non si poteva scendere a compromessi.

Giovanni si è speso con tutte le forze per valorizzare il nostro borgo marinaro e ha fatto scelte coraggiose dal punto di vista urbanistico. Ne potrei citare tante, ma ne cito solo una ad esempio per tutte: il Parco di Levante. Nel 2018 durante un trattativa con il Comune di Cesena per acquistare definitivamente il parco ho trovato la sua firma su tutti i documenti che risalivano al 1985 in cui si stipulava il contratto d’affitto per un’area di 40 ettari che nel 1992 poi è diventata il Parco di Levante. Per chi non è di Cesenatico valga solo dire che si tratta di uno dei parchi urbani più grandi della costa regionale situato a pochi metri dal mare. Era una scelta che guardava avanti non 30 ma 50 anni, una scelta che ha regalato a Cesenatico un parco urbano sottraendo alla speculazione edilizia un enorme quadrilatero che era già oggetto di mire e che avrebbe prodotto un prolungamento di quanto accaduto a Valverde. Giovanni è stato un sindaco ma è stato l’architetto dell'eccellente sistema sanitario emiliano romagnolo, e non solo. Si è speso con tutte le forze per salvaguardare, valorizzare e migliorare e soprattutto difendere la sanità pubblica. Ha lasciato il segno con 15 anni di assessorato alla sanità in Regione e poi con gli incarichi prestigiosi che ha ricoperto a livello nazionale. Soprattutto negli ultimi anni uno dei suoi pensieri fissi era la salvaguardia del nostro sistema sanitario nazionale pubblico e universalistico, sempre più minacciato e in difficoltà a causa del sottofinanziamento che ormai da troppo tempo è diventato un filo conduttore di tante, troppe finanziarie. Questa tensione che esprimeva in appelli pubblici e nei discori privati l’ha voluta imprimere anche nel ricordino che tanti di voi porteranno a casa oggi. Insieme alla sua foto sorridente con la medaglia della Maratona di New York tra i denti trovate un appello: è da tempo che la sanità pubblica patrimonio indispensabile per una paese civile non ottiene la giusta attenzione. Oggi il vero pericolo è la privatizzazione del Sistema sanitario nazionale. Fino alla fine Giovanni ci ha richiamati a combattere per questo tema fondamentale, so per certo che tutti noi proseguiremo su questa strada, grazie ai tuoi insegnamenti.

Adesso che non è qui con noi possiamo dirlo (lui probabilmente mi direbbe che sto esagerando): Giovanni Bissoni è stato il più bravo di tutti. Per visione, talento, intuizione, perseveranza, grinta e generosità. Quella generosità e quella capacità di ascoltare le persone che è ciò che lo ha fatto entrare nei ricorsi di chi lo ha conosciuto. Lo ha dimostrato ogni giorno anche nelle ultime difficili settimane in cui ha deciso di donare gran parte della sua collezione di opere d'arte al Comune di Cesenatico. Anche per questo - e per tutto quello che ha fatto - dobbiamo essergli grati per sempre. Un giorno - non ricordo più quando - Giovanni mi disse. “Matteo ricordati che ogni esperienza politica, anche la più lunga, si chiude sempre con una grande delusione". Si tratta di una frase che non ho mai dimenticato. Nella sua lunga carriera credo che di delusioni lui ne abbia dovute sopportare molte, ma la sua eredità è chiara e nitida. Oggi il dolore immenso per non averlo più qui vicino a noi è, seppure solo in parte, stemperato dal privilegio di aver visto da vicino come gli ideali di gioventù possono resistere fino all'ultimo centimetro di vita, nutriti sempre con dignità e impegno, messi in gioco senza sottrarsi mai ricordandosi chi siamo e da dove veniamo a ogni passo.

Grazie Giovanni, Cesenatico sarà per sempre la tua città.

Qui sotto pubblichiamo il testo del cardinale Matteo Zuppi, letto ieri ai funerali di Giovanni Bissoni

Ci sono incontri che ci accompagnano tutta la vita e non portano nulla e altri che in pochi momenti ci aiutano a condividere tutta la vita. Ho incontrato Giovanni Bissoni, uomo giusto, in un momento terribile per lui. Aspettava con ansia questo incontro e mi commuove molto ricordarlo: sconsolato eppure forte, ironico, accogliente, profondo. Davvero non ha smesso di piantare alberi e di coltivare bellezza. Guardava in faccia il suo futuro, misurando quello che restava, segnato da quella sentenza incredibile, terribile della malattia. Non si faceva sconti o illusioni. La sua richiesta era sentirsi protetto dalla sofferenza e garantito nella dignità. Esattamente quello per cui ha lavorato con passione e intelligenza nel mettere in piedi il servizio sanitario nella nostra regione e non solo, perché garantisca a tutti guarigione e cura.

Il diritto alla salute non deve essere condizionato a nessun altro interesse e utile perché sia tale ed è un patrimonio che, come ha affermato recentemente il presidente Mattarella - garante della Costituzione nella lettera e nello spirito - è “prezioso e da adeguare e difendere”. Giovanni è stato protetto e curato proprio come Danila vuole avvenga per tutti. Mi ha scritto Giovanni: “Il servizio sanitario dell’Emilia Romagna in realtà fu un forte gioco di squadra, naturalmente nel rispetto delle competenze di ciascuno, a partire da politica e istituzioni, contornarsi di persone giuste e investimmo molto sulla formazione. Creammo una classe dirigente che oggi si va esaurendo”. Squadra, competenze, rispetto di queste, istituzioni, politica, formazione: ecco così si costruisce un sistema, universalista, cioè il massimo per tutti, pubblico perché l’unico fine è la persona, qualsiasi essa sia, non il guadagno.

Al termine di quell’incontro mi fece visitare la sua casa, elegante, che faceva sentire subito a casa, sobria e piena di bellezza. Voleva a tutti i costi regalarmi un crocifisso che era appeso nella parete a fianco del suo letto. Un crocifisso antico, essenziale, privo delle braccia. Gli raccontai che nella Chiesa di Sant’Egidio a Roma è conservato un crocifisso simile, anche quello senza le braccia. La spiegazione era semplice: le braccia di Gesù siamo noi, che possiamo sollevare, abbracciare, consolare chi è nella sofferenza. Io gli dissi che ero commosso del suo regalo, ma che preferivo restasse lì, che lo avrebbe aiutato in una comunicazione che non ha bisogno di tante parole, perché eloquente nell’amore. Penso che posso leggere con voi quanto mi scrisse pochi giorni dopo. “Durante la notte piuttosto difficile ho acceso la luce e mi sono guardato l’immagine di Gesù crocifisso. Mi ha molto rasserenato l’idea che le braccia siamo noi. E che anche tu fossi presente”.

Grazie Giovanni per l’attenzione alla persona e senza protagonismo hai reso tanti protagonisti perché squadra che protegge nella malattia. “Ero malato e sei venuto a visitarmi”. Ecco perché sei giusto. Ci hai lasciato il giorno in cui ricordiamo San Francesco. Amava tanto Gesù da portarne nel suo corpo i segni della croce. Oggi comprendi come in realtà il primo che prende le nostre stimmate è Gesù, mistero di amore che fa suoi i segni della nostra croce. È solo una questione di amore. San Francesco chiamò sorella la morte non perché la amasse – non si può amare la morte e non possiamo mai abituarci ad essa tanto da diventarne indifferenti – ma perché non aveva più paura. La guardava negli occhi e la disarmava. Chiamandola “sorella” uccideva la morte! Credo che oggi le braccia di quel crocifisso stringono al collo Giovanni, sollevato e amato da Gesù. Credo anche che Giovanni ritrova la luce di amore che ha acceso nel buio della sofferenza di chi malato ha trovato speranza e protezione. Il buio sconfortante della croce è illuminato dalla luce dell’amore che non finisce.

Grazie Giovanni. Tanta pace. Riposa in pace. Amen.

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