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Recensione

Nuovi studi sul folklorista romagnolo Paolo Toschi

La rivista “Lares” dedica uno studio al rapporto fra antropologia e fascismo

Rivista Lares

Con il numero 2-3 (datato maggio-dicembre 2021) la storica rivista “Lares” (fondata nel 1912), edita da Olschki di Firenze, si dedica a un tema scottante, nel campo degli studi antropologici, ovvero il rapporto fra questa disciplina e il fascismo.

Sulle pagine della più antica rivista italiana di studi “demo-etno-antropologici”, nel numero curato da Fabiana Dimpflmeier (docente all'Università “D'Annunzio” di Chieti e Pescara), si pone l'accento su come il fascismo, fra le tante storture che esercitò nella storia e nella cultura d'Italia, ebbe la mano pesante anche sugli studi di antropologia. Tale tema è stato, negli anni, il proverbiale “elefante nella stanza”, cioè qualcosa di cui si aveva conoscenza ma che non è stato mai trattato in modo esaustivo.

L'importanza per la Romagna di questa ricerca è la figura a cui è dedicato il testo di Stefano Cavazza (docente all'Università di Bologna): Paolo Toschi. Egli nacque a Lugo nel 1911, è morto a Roma nel 1974 ed è considerato, insieme a Francesco Balilla Pratella, il più importante folklorista romagnolo. Docente all'Università “La sapienza” di Roma, fu fra le altre cose direttore della rivista “Lares” di cui parliamo dal 1949 alla morte.

Perché dedicare delle pagine ad un tema apparentemente lontano dall'evolvere degli studi di antropologia come il peso del fascismo sulle ricerche italiane? Come insegnava Benedetto Croce, «ogni storia è storia contemporanea». Vale a dire, che il passato è sempre legato al nostro presente. Nel caso specifico, le teorie razziste del fascismo non sono passate senza lasciare tracce nella cultura italiana, in ogni settore, tanto più in uno come quello antropologico, dove la sfiducia se non il disprezzo per le “razze” era pienamente tangibile, anche prima della dittatura. Si può pensare a come la guerra di Libia del 1911 aveva visto già all'opera lo stereotipo dell'uomo bianco costretto dalla sua superiorità a colonizzare i selvaggi.

La ricerca di Cavazza mostra come Paolo Toschi condusse un percorso affine a tanti suoi coetanei, che, adolescenti al momento della presa di potere del fascismo, lo videro come il continuatore degli ideali della Grande guerra. Toschi, tuttavia, fu più attratto dallo studio dell'arte e della cultura che dall'impegno politico attivo. Nonostante ciò, nel dopoguerra, anche in questo caso in modo comune a tanti della sua generazione, ebbe una certa difficoltà a inserirsi nella vita repubblicana ufficiale: si dedicò alla scrittura, alle collaborazioni con le riviste, sfruttando anche le conoscenze strette proprio negli anni della dittatura. Anche in questo caso, un fenomeno parallelo a tanti che vissero il passaggio di regime accogliendo la corrente, ma non abbandonando pienamente il passato. Anche da questo punto di vista, un interessante spunto di riflessione sulla storia d'Italia.

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