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La commemorazione dei defunti

Intorno all’anno 809, il vescovo Amalario Fortunato di Metz, prenderà la decisione di porre la memoria liturgica per tutti i defunti – che aspirano al cielo - il giorno successivo alla festa d’Ognissanti

La commemorazione dei defunti

I morti hanno fatto da sempre presa nel cuore dell’uomo. Già i primi cristiani nelle catacombe incidevano sui muri la figura di Lazzaro come auspicio che anche i loro cari tornassero alla vita mediante Cristo. Ma solo nel IX secolo che nelle sacre liturgie si parla di defunti e di una loro commemorazione. Siamo a Cluny nel VII secolo, si decise di riservare un giorno per la preghiera di suffragio. Era già presente comunque nell’era bizantina un rito che celebrava i morti (non dimentichiamo che i Maccabei, nell’Antico Testamento, furono i primi a raccogliere offerte per sacrifici riparatori per le vittime della guerra contro Antìoco Epìfane). Intorno all’anno 809, il vescovo Amalario Fortunato di Metz, prenderà la decisione di porre la memoria liturgica per tutti i defunti – che aspirano al cielo - il giorno successivo alla festa d’Ognissanti. Quasi due secoli dopo nel 998, per disposizione dell’abate di Cluny, dom Odilone di Mercoeur, la commemorazione viene fissata al 2 novembre e preceduta da un periodo di preparazione di nove giorni, noto come novena dei morti che inizia il 24 ottobre. La Chiesa poi, col tempo, ritenne idoneo l’uso, anche dopo il 2 novembre, di allungare con un’Ottava di preghiera di suffragio. Papa Benedetto XV, al tempo della Grande Guerra giunse a concedere a ogni sacerdote la facoltà di celebrare “tre messe” in questo giorno (oggi vista la carenza di vocazioni sacerdotali è una consuetudine). La liturgia cristiana nel memorare defuntorum è una celebrazione del mistero pasquale di Cristo Signore. Nella nostra vita di tutti i giorni, nel nostro tran-tran è tale la distrazione, presi da tanti pensieri, desideri, sogni e bisogni, che ci sfugge il pensiero della morte che è sempre in agguato. È molto difficile abituarsi a pensare che in un momento ci sei e potresti in un istante non esserci più. Siamo troppo attaccati a questa terra, che, anche in una preghiera chiamiamo, purtroppo senza pensarci: valle di lacrime. Ma questa ci va bene così… facciamo le corna, mille scongiuri, agitiamo cornine e cornetti, sperando che questi allontanino colei che Francesco arrivò a chiamare “sorella morte corporale”.

Il quinto e ultimo dei precetti della Chiesa recita così: “pregare per i vivi e per i morti”, però se andiamo a frugare nei registri sono il 99,9% le messe celebrate per i defunti. Ci spaventa tanto che arriviamo anche a maledire Dio.. “Se Dio è buono non dovrebbe far morire o soffrire questo o quello, i bambini e gli innocenti”. Ma ci siamo dimenticati che la morte è una porta, il fine e la fine della vita. Un famoso aforisma dice così: “viviamo per morire e moriamo per vivere”. Eppure la morte è la nostra compagna di tutta l’esistenza: addii e malattie, dolori e delusioni ne sono come i segni premonitori. Per anni i sacerdoti ci hanno riempito la testa di catechesi su i “Novissimi”: Morte-Giudizio-Inferno-Paradiso. Gli ultimi attimi. Dall’ultimo respiro al luogo preparato per noi. Ma poi Gesù nel Vangelo lo ha detto e ridetto fino allo spasimo: ci mette in guardia. Gesù disse: “Vegliate perché non sapete in quale giorno il vostro Signore verrà” (Mt 24, 37-44). Ma la parabola che preferisco è quella delle dieci vergini. “Il Regno dei Cieli è simile a dieci vergini.. cinque erano stolte e cinque sagge. Che poi si conclude con l’ammonizione finale: “Vegliate dunque perché non sapete né il momento né l’ora..” (Mt 25, 1,13).

Sì, il Signore viene. Verrà a prenderci per stare con lui, se ce lo meritiamo. Se avremo ascoltato la sua parola e l’avremo messa in pratica (Lc 11, 27-28). Verrà e separerà i buoni e i cattivi (Mt 14, 47-53). Nell’Antico testamento, nel libro del profeta Daniele, si narra di un racconto che voglio condividere con voi. Non succeda mai di essere noi i protagonisti al negativo di questa storia. Il re Baldassàr diede un gran banchetto per i suoi dignitari e amici. E mentre il banchetto è nel pieno del divertimento una mano appare dal nulla e scrisse nel muro tre parole:

Mene, Tekel, Peres. Il re fu colto da una paura profonda, che le ossa delle gambe tremavano tanto da battere una con l’altra. Nessuno dei maghi o astrologi o indovini riuscì a dare una interpretazione al re. Fu chiamato il giovane Daniele, famoso per la capacità di interpretare i sogni e dare profezie. Disse: Oh re, questa è la soluzione del “quesito”. Dio ha computato il tuo regno e gli ha posto fine. Sei stato pesato e trovato mancante. Il tuo regno è diviso e dato ai Medi e ai Persiani. (Dn 5, 1-30). Usano la stessa storia, in un film di cappa e spada: “Il destino di un cavaliere”, per giudicare un uomo malvagio: “ Sei stato preso, pesato e trovato mancante. Auguriamoci che alla fine dei nostri giorni di sentire la voce consolante e ferma di Gesù che ci dice: “Vieni, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore" (Mt 25, 14-23).

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