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La guarigione miracolosa di don Guido Rossi: "Ho sentito una mano che mi toccava la fronte. Era quella del vescovo Lanfranchi"

Don Guido Rossi, parroco di San Mauro in Valle, intervistato lo scorso anno dal Corriere Cesenate: “Io miracolato da don Baronio”     

La guarigione miracolosa di don Guido Rossi: "Ho sentito una mano che mi toccava la fronte. Era quella del vescovo Lanfranchi"

Qui sotto riproponiamo un'intervista a don Guido Rossi, deceduto domenica pomeriggio a causa del Covid, pubblicata sul n. 24 del 25 giugno 2020. Durante il colloquio con la "nostra" Barbara Baronio, sua parrocchiana, don Guido parlò del presunto miracolo della sua guarigione. Miracolo che sarebbe da attribuire a don Carlo Baronio.

“Veramente hai un Dio potente dalla tua parte”: sono queste le parole che il professor Antonio Pinna, direttore dell’Unità trapianti di fegato dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna ha confidato a don Guido Rossi, parroco di San Mauro in Valle, dopo che il sacerdote era riuscito a superare un delicatissimo intervento di trapianto di fegato.

Tutta la vicenda che riguarda don Guido ha inizio nel gennaio del 2006 quando il sacerdote viene avvisato che dopo due anni di attesa c’è finalmente un fegato per lui. Per don Guido si presenta l’unica occasione per continuare a vivere perché da anni soffre della cirrosi criptogenetica generata da brutta infiammazione da farmaci, avuta in età giovanile, e che aveva irrimediabilmente compromesso la funzionalità del suo organo. Accompagnato dalle preghiere della sua comunità, entra in sala operatoria: rimane dieci ore sotto i ferri, durante le quali il cuore del sacerdote smette di battere. Una rianimazione disperata, poi l’intervento viene portato a termine.

Ma poi le condizioni peggiorano per un mese e il fisico del sacerdote pare cedere: una polmonite con febbre altissima, convulsioni, complicazioni renali e a un mese dal trapianto arriva anche un ictus che causa uno stato di incoscienza.

“Ricordo molto bene quando il professor Pinna mi disse che aveva quasi già il lenzuolo in mano per coprire il mio corpo nel momento in cui fece chiamare l’allora nostro vescovo, monsignor Antonio Lanfranchi, affinché si recasse a Bologna per impartirmi l’unzione degli ammalati. Le mie condizioni, a quanto tutti mi riferirono in seguito, erano disperate e il mio quadro clinico quasi senza speranza”.

Il vescovo Lanfranchi accompagnato velocemente dal Comandante del Caps al Sant’Orsola impartì l’unzione degli ammalati a don Guido affidandolo alle cure del Servo di Dio don Carlo Baronio.

“Non ho ricordi nitidi di quegli istanti. Ho solo l’impressione di aver avvertito una mano che mi toccava la fronte, era quella di Lanfranchi, ma io non ne avevo coscienza. Pinna - continua don Guido - mi raccontò poi che il giorno dopo la benedizione arrivò in ospedale senza grandi aspettative e mi trovò invece sorridente e sveglio: gli feci perfino la lingua”.  “Credo fermamente di aver ricevuto una grazia per intercessione di don Baronio. Da giovane prete sono stato spesso con don Carlo Baronio e quando ero cappellano a San Domenico gli ho servito Messa. Ero rapito dalla sua persona, che emanava santità”. La guarigione misteriosa di don Guido è stata portata all’attenzione dell’Ufficio della Causa dei Santi a Roma a sostegno della causa del sacerdote cesenate don Baronio. L’accertamento del miracolo potrebbe accelerare il processo di beatificazione avviato nel 1997.

“Durante il mio periodo di coma ho anche fatto un sogno che non dimenticherò mai. Ero davanti a una foresta, mi sono messo a camminare. Ho attraversato la fitta rete di alberi e mi sono trovato in una radura verdissima. Poi ho visto mio padre, mia madre e una zia deceduta poco tempo prima. Ho accelerato i passi per raggiungerli, volevo urlare, ma loro, dopo essersi girati a guardarmi, proseguendo il cammino si sono inoltrati nella foresta scomparendo ai miei occhi. In quel momento ricordo di essermi sentito solo, triste e avvilito, ma illuminato da un bel sole”.

“Non so come interpretare questo sogno, ma dopo due mesi e mezzo di ospedale sono tornato a casa con 25 chili in meno, 20 medicine da prendere ogni giorno e una cartella di 4 volumi composti da 1773 fogli. Sono grato a Dio, all’équipe medica che mi ha seguito, a don Baronio, al vescovo Lanfranchi e a tutti coloro che hanno pregato per me e mi sono stati vicini e invito tutti ad alimentare la cultura della vita attraverso la donazione di organi e sangue. Donare un organo è il massimo che un uomo possa fare per un altro uomo ed essenziale è donare il sangue. Ma occorre imparare anche a donare agli altri più tempo, più tenerezza, più attenzione, più ascolto e più amore”.

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