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Stretti intorno al vescovo Douglas per i 50 anni di ordinazione sacerdotale

Le fotografie della celebrazione e il testo integrale dell'omelia

Foto Pier Giorgio Marini

Alla presenza di tanti fedeli ieri, domenica 17 settembre, in Cattedrale a Cesena, il vescovo Douglas Regattieri ha ricordato e festeggiato i cinquant’anni di ordinazione sacerdotale con una solenne celebrazione eucaristica. 

Sempre per festeggiate monsignor Regattieri, venerdì sera nella chiesa di Sant'Agostino si è tenuto un concerto da parte del coro diocesano "Alma canta" (cfr notizia a fianco).

La Messa di ieri è stato anche il momento di apertura del nuovo anno pastorale 2023-2024 sul tema “Cristo, verità dell’uomo. Per una fede viva”. Al termine della funzione, molto sentita e partecipata, il vescovo ha conferito il mandato agli operatori pastorali, catechisti, animatori liturgici, operatori della carità ai quali è stato consegnato il testo degli Orientamenti pastorali per l’anno 2023-2024 su cui le comunità locali sono chiamate a lavorare e a confrontarsi.

Di seguito la fotogallery di Pier Giorgio Marini

Vescovo, la Messa per i 50 anni dell'ordinazione sacerdotale

Di seguito pubblichiamo il testo dell'omelia pronunciata dal vescovo Douglas.

Il tema che la liturgia di oggi propone alla nostra meditazione è quello del perdono. Più ampiamente, quello dell’amore fraterno. Lo fa la prima lettura, il testo del Siracide (Cfr Sir 27,30-28, 9); lo fa il brano evangelico con la nota parabola del cosiddetto ‘servo spietato’ (Cfr Mt 18, 21-35). Ma per le circostanze che stiamo vivendo, e cioè per ricordare i 50 anni del mio sacerdozio e i 13 anni di episcopato, mi concentro sulla seconda lettura, quella di san Paolo (Cfr Rm 14, 7-9) che ha un passaggio molto bello. Lo applico a me; ma si può dire di ogni credente, di ogni discepolo. San Paolo qui confessa di ‘essere del Signore’ (v. 8). Esprime la assoluta certezza di appartenere a Cristo: Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore” (Rm 14, 8). San Colombano tradurrebbe la frase con la nota espressione “Christi simus, non nostri”, che fu anche il motto episcopale del mio predecessore, Mons. Lanfranchi. Christi simus: io appartengo a Cristo.

Ripercorro con voi tale appartenenza attraverso il simbolo del crisma. Crisma: segno di separazione e quindi di consacrazione. Sempre ci imbattiamo nella Scrittura in questo schema: Dio sceglie qualcuno, lo chiama, lo separa dalla comunità, lo unge e lo rimanda alla comunità. Chiamata, unzione, missione. Così è avvenuto anche per me. Come per tutti noi. Commentava sant’Ambrogio: con il crisma “la Chiesa unge il capo dei suoi, affinché si sottopongano al giogo di Cristo; con questo olio ha unto i martiri, tergendo da essi ogni più lieve traccia del mondo; con questo olio ha unto i confessori, affinché non indietreggino davanti alle difficoltà, non soccombano per la stanchezza, né si lascino vincere dall’ardore di questo mondo; li ha unti per ristorarli col balsamo spirituale” (Ambrogio Lettera 41, 18. 22-23).

 

16 ottobre 1949

16 ottobre 1949. Si legge nel registro dei battezzati della parrocchia di Vallalta: “Regattieri Dugles M., dove M sta per Maria, nato il giorno 5 ottobre 1949, è stato battezzato dal cappellano don Nunzio Cavalieri in questa chiesa il giorno 16 ottobre 1949. Furono padrini Casari Glauco e Regattieri Lucia. Firmato Pozzetti don Artemio”. Il sacerdote spalmò un po’ di crisma sulla mia fronte invocando: “Dio onnipotente, ti ha liberato dal peccato e ti ha fatto rinascere dall'acqua e dallo Spirito Santo, unendoti al suo popolo; egli stesso ti consacra con il crisma di salvezza, perché inserito in Cristo, sacerdote, re e profeta, tu sia sempre membra del suo corpo per la vita eterna”. Tutti i battezzati, con il santo battesimo, sono unti in Cristo e diventano profeti, sacerdoti e re. San Paolo più volte nelle sue lettere “usa la formula ‘quelli di Cristo’ per indicare che i credenti con il battesimo, appartengono a Cristo, sono al suo servizio (cfr 1Cor 1,12; 3, 23; 2Cor 10, 7; Gal 3, 27; 5, 24)” (G. Pani, ‘Cristiano: il bel nome che voi portate in Civ. Catt. 4155-4156, p. 225). Qui è la fonte della bellezza cristiana. Noi oggi, diamo inizio al nuovo anno pastorale: il primo di un triennio che intendiamo orientare a riscoprire la bellezza della identità cristiana, seguendo la nota formula di san Leone Magno: Riconosci, cristiano, la tua dignità! Le linee che saranno consegnate al termine della Messa aiuteranno a questo. Mi auguro che gli incontri di catechesi, le omelie, le Lectio divina e altre attività pastorali dell’anno attingano ad esse. Sono la guida per il nostro cammino che nessuno deve disattendere, sostituire con altro o abbandonare in un angolo. Quanto sono vere e concrete le conseguenze che discendono dalla consapevolezza della bellezza della identità cristiana del battezzato, così come già 1800 anni fa Origine le aveva delineate: “Voi siete un popolo sacerdotale, di conseguenza voi avete accesso al santuario. Ognuno, di noi ha in se stesso il suo sacrificio ed egli stesso accende il fuoco sull’altare perché sempre arda. Dunque, se rinuncio a tutto ciò che possiedo, se porto la mia croce e seguo Cristo, io offro il mio olocausto sull’altare di Dio. Se abbandono il mio corpo alle fiamme, avendo la carità, e se acquisto la gloria del martirio, io offro me stesso in sacrificio sull’altare di Dio. Se amo i fratelli al punto di dare la mia vita per loro, se combatto fino alla morte per la giustizia o per la verità, io offro il mio sacrificio sull’altare di Dio. Se mortifico le membra da ogni concupiscenza carnale, se il mondo è crocifisso per me e io per mondo, io offro il mio sacrificio sull’altare di Dio e divento io stesso sacerdote del mio proprio sacrificio. E’ in questo modo che si esercita il sacerdozio” (Omelie sul Levitico, 9,9).

 

15 settembre 1973

15 settembre 1973, chiesa parrocchiale di Vallalta: il vescovo, monsignor Artemio Prati, attorniato dal presbiterio carpense e dal popolo di Dio, mi ordinò presbitero e sulle palme delle mie mani spalmò il sacro crisma. Così pregò: “Il Signore Gesù Cristo, che il Padre ha consacrato in Spirito Santo e potenza ti custodisca per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio”. Per l’offerta del sacrificio. Da quel momento tutta la mia vita sarebbe stata segnata dall’Eucaristia, tutto avrebbe preso senso dall’Eucaristia, tutto sarebbe stato finalizzato all’Eucaristia e tutto sarebbe ripartito dall’Eucaristia.

C’è un testo del Crisostomo che rivolgendosi ai fedeli, afferma: “Allorquando tu vedi il Signore immolato ed il sacerdote in piedi inchinato sulla vittima in preghiera e tutto imporporato di quel sangue prezioso, pensi di essere ancora tra gli uomini e di vivere sulla terra, o non credi piuttosto di essere migrato nei cieli e, respingendo ogni pensiero carnale, attorno a te non vedi… ciò che si vede nei cieli?” (Dialogo sul sacerdozio, III, 4).

Così il fedele si pone davanti all’Eucaristia. Egli dovrebbe pensare di essere in quel momento già in cielo! Tanto più il sacerdote, il quale, celebrando, non è tanto sollecitato a chiedersi: cosa devo fare? Quanto piuttosto: chi sono io? E’ l’Eucaristia che definisce il presbitero. Ha scritto un vescovo: “La celebrazione dell’Eucaristia è l’unica chiave interpretativa di tutta l’esistenza sacerdotale. E’ essa il fattore di sintesi e di unificazione della vita e del ministero sacerdotale. Se e quando si dissolve la sintesi eucaristica, inevitabilmente il governo si corrompe nel giuridicismo, l’insegnamento della dottrina della fede nel magistero dei professori, la celebrazione dei santi Misteri nel sociologismo” (C. Caffarra).

 

28 novembre 2010

28 novembre 2010. Era la prima domenica di Avvento del nuovo anno liturgico. La comunità cristiana di Carpi nella sua Basilica Cattedrale partecipava, gioiosa e un po’ stupita, al rito solenne dell’ordinazione episcopale di un suo figlio. Ricordo la gran quantità di crisma che il celebrante principale aveva versato sul mio capo. Fu per un disguido organizzativo, ma tanto eloquente, però. Quell’olio scese su tutto il corpo. Tutto, tutto per Cristo e per il popolo; come recita il motto di san Paolo che presi a guida: Omnibus omnia factus sum (1Cor 9, 22). In un ritiro a Tamarasset San Carlo di Gesù commentava così il detto paolino: “Farmi tutto a tutti; ridere con chi ride; piangere con chi piange, per portarli tutti a Gesù. Mettermi con disponibilità, alla portata di tutti, per attirarli tutti a Gesù. Mettermi con condiscendenza alla portata di tutti, per attirarli tutti a Gesù”.

Nella formula dell’unzione, seguendo il rito, il vescovo ordinante disse: “Dio, che ti ha fatto partecipe del sommo sacerdozio di Cristo, effonda su di te la sua mistica unzione e con l’abbondanza della sua benedizione dia fecondità al tuo ministero”. Il ministero che assumevo non doveva essere considerato tanto un onore, quanto un ònere: ero chiamato cioè non a preesse – come scrisse sant’Agostino – maa prodesse (Cfr De Civitate Dei, 19, 19): non a precedere ma a essere a favore...

Omnibus omnia factus sum: per questo chiedo la vostra preghiera. E di questo vi sono grato.

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