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Un lettore al giornale: "Come si possono mettere insieme Portaccia ed ex scuola di Diegaro?"

Un appello generico a tutti i “cittadini residenti nel Centro Urbano e a Diegaro” perché evidenzino i bisogni ai quali questi “immobili marginali in disuso” possono offrire risposta, pare – nel caso della Portaccia - alquanto fuori luogo, scrive Vaienti

Giannetto Malmerendi. Mario Morigi e Malmerendi nella fabbrica di ceramiche. 1933

Pubblichiamo la lettera integrale che l'amico/lettore Daniele Vaienti ha inviato al direttore in merito alla Portaccia e alla ex scuola di Diegaro.

Sull'edizione cartcaea in edicola da ieri è in pagina una versione ridotta.

Caro Francesco,

incerto fra la dizione forse più arcaica di “portazza” e quella, linguisticamente più familiare di “portaccia”, opterei per un neologismo certamente più anonimo ed equidistante come “portaxxa” così da non urtare suscettibilità di storici o puristi.

Battute a parte, ti propongo alcune modeste riflessioni che esulano, una volta tanto, non solo dall’onnipresente Covid 19 e dalla crisi politica, ma anche dai ripetuti interventi con i quali ti ho afflitto in questi anni a proposito della “Chiesina” della B.Vergine della Vena e dell’attività della nostra cara Università della Terza Età.

Lo spunto viene da un articolo del Corriere Cesenate del 21 gennaio che titola: “RIGENERAZIONE URBANA PER L’EX SCUOLA DI DIEGARO E LA PORTACCIA”.

Mi hanno colpito – schematizzo - alcuni passaggi:

1)      La diffusione ormai inarrestabile del termine “RIGENERAZIONE URBANA” che ritrovo in dosi massicce negli obiettivi e nelle metodologie di intervento in tema di pianificazione urbanistica, architettonica e fors’anche paesaggistica,  nel nostro Comune (e non solo, ovviamente). Una vera “parola d’ordine” mi verrebbe da dire, con il rischio di inflazionare termine e significato.

2)      La diffusione contestuale -e pure essa ormai quasi inarrestabile-, dei “progetti di co-progettazione” che stanno travalicando e pervadendo ormai tutti i campi di attività (e di proposte progettuali). A mio modesto parere dovrebbe spettare all’Amministrazione Comunale progettare, presentare e sostenere i progetti, attivando preventivamente, se ritenuto necessario, tutti i possibili contributi, in particolare da parte di chi (a Cesena o fuori) studia i vari argomenti e progetta e realizza da molti anni, dopo essersi formata una solida e inoppugnabile base conoscitiva. A attivando e favorendo anche suggerimenti e osservazioni da parte di cittadini, Associazioni, Quartieri, ecc.

Tutto pare ormai segnato da questi due tratti distintivi intesi, in particolare il secondo, a sollecitare la massima “Partecipazione”. Avendo vissuto in anni ormai lontani la stagione nella quale di “partecipazione” ci si nutriva a pranzo e a cena, non credo che si tratti di un ritorno al… passato o di una “minestra riscaldata”. L’esperienza dei primi Quartieri, a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, tutta sull’onda del volontariato e dell’entusiasmo giovanile ha vissuto poi una progressiva e, forse, inevitabile burocratizzazione, fino al consumarsi osservato nei decenni successivi. Nei primi anni 2000 non si riuscì a far decollare i cosiddetti “bilanci partecipati”. Sull’onda dell’esperienza modenese si cercò, anche a Cesena, di dare ai Quartieri un ruolo più attivo e consapevole fin dalle fasi di formazione del Bilancio del Comune. Il tentativo non decollò e poi intervennero norme di legge che bloccarono anche la rielezione amministrativa dei Consigli di Quartiere.

Ma torno alla Portaccia:  la richiesta di co-progettazione (progettare assieme? Oppure produrre diversi progetti fra i quali l’Amministrazione è chiamata a fare scelte?) è certamente comprensibile e condivisibile per “l’immobile in disuso” della ex scuola di Diegaro:

- vissuta per soli trent’anni fra il 1966 e il 1996

- posta in località abbastanza periferica

-inserita nel contesto di quella che era una “frazione”

- fabbricato che forse necessita di una semplice “ristrutturazione” e non certamente di un restauro scientifico conservativo, come pare scontato debba avvenire per la Portaccia.

-fabbricato privo di valore simbolico e di memoria storica (al di fuori della frazione di Diegaro) come invece certamente non si può pensare a proposito della Portaccia, tuttora uno dei luoghi di maggior fascino e storia della nostra quasi intatta cerchia muraria tre-quattrocentesca.

E altri elementi potrebbero aggiungersi per motivare la non accostabilità di questi che sono definiti “immobili in disuso” e come tali trattati con la stessa moneta sia la ex Scuola del 1966 che la Portaccia del Trecento.

Credo, dunque,  che un intervento di “riqualificazione di due spazi collocati in contesti marginali” non possa assolutamente adattarsi al caso della Portaccia.

Così come pare rischioso estrapolare il manufatto dal contesto generale di un intervento sulla cinta muraria di Cesena, a proposito del quale si parla e studia e discute da decenni e al cui proposito non mancano studi seri e rilievi approfonditi eseguiti da professionisti e architetti di riconosciuto valore e competenza.

Un appello generico a tutti i “cittadini residenti nel Centro Urbano e a Diegaro” perché evidenzino i bisogni ai quali questi “immobili marginali in disuso” possono offrire risposta, pare – nel caso della Portaccia - alquanto fuori luogo. Anche perché “dopo le fasi di ascolto e partecipazione… sarà lanciata una manifestazione di interesse rivolta ai soggetti interessati al riuso della ex Scuola di Diegaro e della Portaccia. I soggetti, una volta selezionati, avranno il compito di sviluppare le proprie idee e di metterle a punto perseguendo una logica di collaborazione e di integrazione della progettualità”.

Dunque, concludendo, i cittadini potranno co-progettare e proporre di aprire, ad esempio, una macelleria (in omogeneità forse con il fatto che in un lontano passato da quelle parti sorgeva il Vecchio Macello) nella Portaccia che, (testuale),“pur essendo in pieno centro, è collocata in un’area densamente abitata (?) in cui i servizi di prossimità non sono adeguati alla domanda”.

Da quanto a mia conoscenza risulta che, per la Portaccia, nel 2013 la precedente Amministrazione aveva presentato in Soprintendenza il Progetto di Restauro Generale di Valorizzazione e per la cinta muraria dovrebbe essere già avviato un iter progettuale che potrebbe essere concluso in tempi contenuti, redigendo il Progetto Esecutivo finale. Richiamo anche l’esplicita attenzione dedicata proprio in questi giorni da parte della Fondazione CARISP al progetto di recupero dell’intero percorso murario cesenate del quale la Portaccia è una delle costruzioni più cospicue.

E se questo non è un obiettivo della giunta attuale, come si può realisticamente ignorare che un intervento complessivo sull’intera cinta muraria sarebbe –a parte ogni altra considerazione- un formidabile asso da giocare in materia di attrazione turistica? E la Portazza non potrebbe essere un magnifico portale di ingresso alla città (e al complesso di Sant’Agostino) e punto di partenza per un tour delle nostre mura recuperate?

Gli studi non mancano e ricordo appena quelli ultradecennali dell’architetto Pino Montalti, con il suo magistrale rilievo totale e le ricerche che, proprio sulla Portaccia, segue con grande attenzione e dedizione l’arch. Daniele Minotti.

Né mancano interessanti tesi di laurea ad alto grado di specializzazione: cito ad esempio, quella di Fabio Bracci (2013): “Le Mura di Cesena: analisi archeologica delle difese tardo medievali”.

Sono stato lungo, come sempre, ma ormai ci sei abituato.

Come documentazione ti allego un estratto ricevuto dall’architetto Daniele Minotti che ha avuto la cortesia di farmi avere anche alcune belle immagini.

Ciao

Daniele Vaienti - Cesena

 

A proposito della "PORTACCIA", proprio per confermare l'interesse da parte mia per l'argomento, ho fatto uno studio sugli artisti locali fra '800 e '900 che l'avevano scelta come sede per la propria attività artistica.

La «Bottega Ceramica Artistica a gran fuoco Leonardo Castellani & C.» aperta fra il 1920 e il ’21 da Leonardo Castellani (Faenza 1896 – Urbino 1984) in società con Giannetto Malmerendi (Faenza, 3 novembre 1893 – Cesena, 7 agosto 1968) e già chiusa nel 1923, trovò ubicazione in un torrione delle mura malatestiane detto PORTACCIA, sul torrente Cesuola.

Castellani a gran fuoco 1922

Segnalatomi dall’architetto Sanzio Castagnoli, studioso e collezionista di opere di Castellani, invio la fotografia del bellissimo quadro della Portaccia di Alessandro Bagioli (Cesena, 1879 - 1965) dipinto intorno al 1920. Bagioli dedicò il quadro della "Portaccia" sul Cesuola all'amico Leonardo Castellani che l'aveva scelta come sede per la produzione di Ceramiche Artistiche.

Il quadro "La fabbrica di ceramiche" dipinto da Giannetto Malmerendi nel 1933, ha raffigurato il pittore-scultore Mario Morigi mentre sta mostrando al Malmerendi un vaso prodotto nel laboratorio di ceramica all'interno del bastione denominato "Portaccia".

Il quadro con Malmerendi e Morigi (foto in alto) è collocato da molti anni nella c.d. Sala Nera del Municipio di Cesena. Il suo autore, l'artista Giannetto Malmerendi, nominato ispettore onorario alle Antichità e scavi di Cesena (1942), curò nel 1945 la ricostruzione di chiese e monumenti distrutti dalla guerra e si batté per la salvaguardia del Centro Storico di Cesena contro l'insediamento dell'edilizia moderna (un precursore del PRG del Centro Storico di Cesena del 1977 !), in questo coadiuvato dall'amico Amilcare De Giovanni (Cesena,1897-1986, vedasi foto allegata) del laboratorio cementisti degli Artigianelli del Lugaresi.

Il pittore Mario Morigi (Cesena 1904–1978), poco più che ventenne, aveva aperto uno studio di pittura nel vecchio torrione della "Portaccia", sul torrente Cesuola, da lui ribattezzato la "Porziuncola", già utilizzato come bottega di ceramica dal faentino Leonardo Castellani durante il suo breve soggiorno a Cesena (1920-1923).

Nel quadro “Ponticello con Cesuola” del 1933 - Morigi ha raffigurato ciò che vedeva dalla "Portaccia" prima della copertura del Cesuola realizzata nel 1935/36.

A parte l’evidente vocazione artistica della Portaccia, ho riscoperto anche la precedente urbanistica della Portaccia che era totalmente diversa da oggi.

Prima della demolizione del vecchio Macello (il cosiddetto "Pellatoio") che si saldava alla Portaccia, in via Quattordici c'era un "ponticello" sul Cesuola che collegava con via Mura sant'Agostino ed era il tramite per uscire dalla città attraverso porta "Santa Maria".

Questo percorso è completamente sparito con l'apertura di via Quattordici verso la via Cavallotti e specialmente con i lavori di copertura del torrente Cesuola, intrapresi dal 1932 in avanti.

Ho notato che Pino Montalti nel suo progetto di recupero della Portaccia ripropone il ponticello sul Cesuola, in parte riaperto.

Daniele Minotti, architetto

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