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1° maggio

Covid-19, lavoro e responsabilità

“Nulla sarà come prima”. Siamo invitati a riprogettare un sistema che sempre più possa conciliare il lavoro con i tempi della famiglia e la sostenibilità ambientale

“Nulla sarà come prima” ci ricordano i vescovi della Commissione per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, nel messaggio in occasione della festa del Primo maggio. È questo un motivo di preoccupazione che ci interpella come comunità cristiana.

A fronte di esperti che parlano di un calo percentuale del Pil, di filiere che danno lavoro a numerose persone che, anche nel nostro territorio, sono ferme, di riduzione dei posti di lavoro, ci dobbiamo sentire interpellati. Siamo tutti nella stessa barca e chiamati a remare insieme, aveva affermato papa Francesco il 27 marzo scorso. La Chiesa non è un’agenzia sociale che si occupa di lavoro come un qualsiasi ufficio di collocamento o un’associazione di categoria, ma ha a cuore il lavoro perché lo vede come un luogo in cui si manifesta la collaborazione tra Dio e l’uomo.
Questo periodo di quarantena forzata ci sta facendo capire che il lavoro non è solo un modo per guadagnare, ma riguarda la nostra vocazione. La Chiesa non sarà in grado di fornire ricette tecniche, ma di illuminare con la luce del Vangelo questa realtà sì. È l’occasione, ancora una volta, per guardare al lavoro ricordando i quattro aggettivi (libero, creativo, partecipativo e solidale) che papa Francesco aveva indicato nell’Evangelii gaudium. La responsabilità a cui siamo chiamati anche in questi tempi è di orientare verso una qualità del lavoro che non può essere derogata solo al mondo politico o alle grandi imprese.
Sentiamo spesso personaggi influenti parlare di bisogno di coesione sociale, di solidarietà, di coraggio, di speranza, di impegno di tutti. Verissimo, ma su quali basi fondare tutto ciò? La Dottrina sociale della Chiesa, possiamo affermarlo senza dubbio, è un patrimonio ricchissimo di testimonianze in merito. È un magistero che ci insegna che il nostro lavoro, nel suo significato originario, attraverso la chiamata a coltivare e custodire tutti i beni della creazione, è la realizzazione del disegno d’amore del Signore per noi, è la partecipazione all’opera della creazione.

Se nulla sarà come prima, allora vogliamo che tutto sia come in principio. L’emergenza Covid ci sta richiamando alla necessità di passare ad un modello “capace di coniugare la creazione di valore economico con la dignità̀del lavoro e la soluzione dei problemi ambientali”, hanno ricordato i vescovi. Ci siamo scoperti improvvisamente fragili, ma interdipendenti. Stiamo facendo esperienza di come la salute sia un bene comune globale: dalla salute di ciascuno dipende
quella di tutti. Se siamo connessi e abbiamo bisogno gli uni degli altri, secondo l’orizzonte proposto dall’Enciclica Laudato si’, tutti siamo chiamati a “non balconare”, a impegnarci, come cittadinanza attiva che partecipa in vario modo alla vita sociale e politica, a dare un contributo alla costruzione di un modello sociale ed economico dove la persona sia al centro e il lavoro piùdegno. Siamo invitati a riprogettare, ad esempio, un sistema che sempre più possa conciliare il lavoro con i tempi della famiglia e la sostenibilità ambientale. È il significato dell’essere generativi, con-creatori dell’opera del Signore.
Quest’anno, a livello diocesano, festeggeremo il lavoro in modo diverso. Non potremo trovarci come da tradizione presso un’azienda locale, lo faremo a tempo opportuno. Celebreremo il lavoro con la Messa in Cattedrale presieduta dal nostro vescovo, domenica 10 maggio alle 10. La celebrazione sarà visibile, con la collaborazione del Corriere Cesenate, attraverso il canale di Teleromagna.
Sarà l’occasione per esprimere la nostra gratitudine a chi, in questo periodo di emergenza, sta lavorando per il bene comune, mettendo anche a rischio la propria salute e per far sentire la vicinanza della Chiesa al mondo del lavoro.

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