Sogno o son desto?

«Nella notte, quando gli occhi sono spenti alla luce, l’uomo ne accende una per sé» (Eraclito, frammento 26).
Nel saggio sull'Interpretazione dei sogni, Freud utilizza 182 sogni altrui e 46 sogni suoi, 10 dei quali ambientati in Italia e 4 a Roma “città dei suoi sogni”. Analizzando questi sogni egli dimostra l'esistenza di collegamenti profondi tra gli elementi in apparenza caotici della vita onirica. Freud ne scopre il senso fornendo prove sempre più convincenti sull' esistenza dell'inconscio umano.
Ma chi sogna propriamente? Nel sogno sperimentiamo l'alterità e la pluralità dentro di noi. Impersoniamo ruoli, situazioni desiderate o temute, storie e vite possibili. Il sogno “mette in scena” la realtà psichica del sognatore. Ciò che distingue il sogno dalle altre formazioni dell'inconscio è il visivo. Fantasmi, simboli, luoghi lontani ignoti: il sogno si permette di “vedere” ciò che sfugge alla vista. Attraverso l’”occhio” psichico scorgiamo il nostro mondo interno che è fondamentale e degno di osservazione al pari del mondo esterno.
Nell'ultimo capitolo dell’Interpretazione dei sogni Freud riporta un sogno raccontatogli da una sua paziente la quale lo aveva udito a una conferenza sul sogno. È il sogno di un padre che ha vegliato a lungo il figlio agonizzante e che, dopo la morte di questi, si è addormentato stremato nella stanza accanto. Nel sogno, il figlio giunge fino al letto del padre e lo rimprovera dicendo: “Babbo, non vedi che brucio?” Il sognatore si sveglia accorgendosi che effettivamente una candela è caduta sulla camicia del defunto, bruciandogli un braccio. Il commento di Freud a questo sogno è che se il padre si fosse svegliato prima «avrebbe per così dire abbreviato di un momento la vita del figlio».