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"Carcere, cultura, libertà", in Malatestiana alleanze e messaggi di speranza

Ieri il convegno organizzato dal nostro giornale. Al termine, l’inaugurazione della mostra del fotoreporter ravennate Giampiero Corelli “Domani faccio la brava. Donne e madri nelle carceri italiane”

foto: Sandra e Urbano (Cesena)

Un tema scomodo, del quale tutti preferirebbero non parlare. E un’alleanza di persone e realtà che invece vogliono affrontarlo, abbattere pregiudizi e fare cultura. È successo ieri a Cesena, nel cuore culturale della città, la biblioteca Malatestiana, con il convegno “Carcere, cultura, libertà”, organizzato dal nostro settimanale assieme alla Biblioteca e in collaborazione con il Comune di Cesena, la Diocesi di Cesena-Sarsina, l'ordine degli avvocati di Forlì-Cesena, il Rotary club di Cesena, Urcofer, Ipazia Libere Donne, Fisc Emilia-Romagna e Ucsi Emilia-Romagna.

L’occasione è stata l’inaugurazione della mostra del fotoreporter ravennate Giampiero Corelli “Domani faccio la brava. Donne e madri nelle carceri italiane”, frutto di un reportage con racconti inediti delle detenute di 13 istituti di pena femminili italiani, che resterà visitabile in Malatestiana fino al 5 novembre prossimo. Tra i relatori don Gino Rigoldi, da oltre 50 anni cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, il garante per i diritti dei detenuti di Reggio Calabria, Giovanna Francesca Russo ed Enrico Amati, docente di Diritto penale a Udine. A moderare il pomeriggio, il direttore del nostro giornale, Francesco Zanotti.

“La Malatestiana è il tempio del libro, quello antico ma anche quello moderno - ha esordito il sindaco di Cesena Enzo Lattuca -. Qui passano giovani, bambini e adulti: migliaia di persone ogni giorno. Un luogo di cultura a 360 gradi, il luogo pubblico più aperto dopo l’ospedale. L’idea che qualcuno possa essere attirato dalle fotografie esposte qui e che da quello sguardo possa nascere una riflessione è importante. È un tema non facile, come si diceva, che di solito è rimosso dall’attenzione pubblica e politica. A Cesena il carcere nemmeno c’è. Ci dobbiamo preoccupare anche di loro, qualcuno potrebbe dire? Invece noi crediamo che ci sia un senso, quello dell’umanità che anche nelle mura di un carcere non può venir meno. È questione di civiltà. Vogliamo sapere, non siamo indifferenti. Come cittadini, e come istituzioni. Credo che questo mese aiuterà la nostra città ad aprire gli occhi su una realtà sulla quale non possiamo chiuderli”.

C’è una parola che è difficile sentire dentro il carcere e che invece cambierebbe la storia di chi lo abita, spiega don Gino Rigoldi: la speranza. Don Gino che da anni si occupa di chi varca la soglia del carcere da minorenne lo spiega in numeri: “Bollate ha una recidiva del 20 per cento, Monza dell’80 per cento. Che differenza c’è? A Bollate c’è una serie di progetti per guadare al futuro. Monza, invece, ha due educatori per 600 detenuti”.

La Fondazione che porta il nome di don Gino è uno degli attori principali di questi progetti, non solo per il carcere di Bollate, ma per tutta l’area milanese: “'Mi manca il personale', mi dice l’amministratore delegato di una grande azienda edile. 'Io ce l’ho', gli rispondo: un terzo dei detenuti del carcere di Opera può accedere ai vantaggi dell’articolo 21. Facciamo formazione, seria, te li mando per gruppi, così li sperimenti e poi iniziano a lavorare. I primi 20 son già fuori. Con questo sistema nei prossimi anni contiamo di portare fuori dal carcere 400 persone. Un format che funziona per l’agricoltura, per la ristorazione, per i saldatori”.

È il lavoro l’antidoto principale alla recidiva, spiega don Rigoldi. Ma per uscire definitivamente dal carcere serve anche altro: alleanze, come quelle che hanno portato all’organizzazione del convegno di ieri in Malatestiana. Don Gino parla con tutti: dai ministri che hanno idee ben lontane dalle sue sul tema immigrazione, ai detenuti, dai direttori delle carceri ai presidenti delle Fondazioni bancarie ai grandi imprenditori. Ora il problema a Milano, è quello della casa: “Lì non si dà mai un affitto a una famiglia di stranieri”. Figurarsi a un detenuto. Anche per questo, don Gino i maggiorenni, quelli per cui lo Stato non paga quote, li accoglie nella sua comunità. “Su 50, 48 sono musulmani. La domenica faccio la non Messa, lo capite vero? Paliamo di Dio, con quattro cristiani e 48 musulmani. Molte comunità hanno chiuso perché non hanno capito chi avevano davanti. Quando i ragazzi vedono che dai loro un peso, gli dai dignità, non pena, ecco, lì cambiano. È l’amore onesto, quello che si legge nel Vangelo. Non ci sono filtri: se siamo insieme e ti comporti da stupido, te lo dico”.

È lo “scandalo” dell’educazione, quella vera. Che cambia lo sguardo e anche la vita delle persone: “Sapete qual è il progetto formativo del Beccaria? Addestrare questi ragazzi alle relazioni costruttive, con sé e con altri. Davanti a un’insegnante che ascolta, guarda, si relazione, tutti cambiano. Anche nelle parrocchie. Relazione, che poi ha anche un altro nome: amore. Non è una cosa che può capitare, si sceglie”. E tutto cambia.

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Di seguito, la videointervista a don Gino Rigoldi e la fotogallery a cura di Sandra e Urbano fotografi (Cesena).

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